È possibile piegare la propria vita alle stesse regole che si applicano al buon giornalismo, cioè rispondere sempre alle domande chi, come, dove, quando, perché? Può sembrare un’impresa disperata e con molti rischi. Perché si paga alla coerenza (e non sempre ci si riesce anche con la più buona volontà) un prezzo molto alto fatto di dimissioni che volano come farfalle, di lavoro frenetico (per cui ti accorgi che i figli nel frattempo sono arrivati all’università) e, soprattutto, di farsi la fama di “non affidabile”, secondo le regole della politica che impongono accomodamenti, mediazioni continue, strizzatine d’occhio.
Raccontare sessant’anni di professione, da precario a direttore, nella tua città, nella regione e poi in giro per l’Italia, portandosi dietro il bagaglio di contraddizioni di cui è imbevuta la tua radice di triestino, senza farne una biografia, tantomeno un’agiografia, valorizzando gli aneddoti che ammorbidiscono il tono e spesso rivelano la sostanza degli avvenimenti e delle persone: è la sfida affidata a questo libro nato dalle chiacchiere con gli amici che, ormai troppo spesso, provocavano con la battuta: “Hai il coraggio di scrivere queste cose?”. Magari senza dimenticare la massima di Charlie Chaplin: “Un giorno senza una risata è un giorno sprecato”.