2 marzo 2011. Il Golfo di Trieste è sfigurato dalla bora scura con raffiche che arrivano a 173 Km/h. L’Ursus, protagonista di un secolo di storia navale giuliana, rompe gli ormeggi e prende il largo come un mostruoso veliero senza pilota. Accanto al pontone galleggiante c’è l’Audax, che lo segue fin quando le cime si spezzano e il piccolo rimorchiatore punta diretto verso le sabbie isontine.
Le due imbarcazioni avrebbero potuto provocare danni ingentissimi alle navi in rada o in navigazione. Gli unici che potevano tentare di catturare i fuggitivi erano gli uomini della Tripmare, erede della storica Tripcovich, nata quando Trieste era ancora territorio dell’impero austro-ungarico. Il dott. Alberto Cattaruzza, figlio di Luigi, fondatore della Tripmare, ha ragione quando osserva che non c’era alcuna certezza che le cose finissero bene.
È l’emergenza perfetta: nelle sale operative e a bordo gli animi si fanno tesi, come sartie sotto raffica. Anche il capitano d’armamento Renzo de Visintini, che dalla base comandava i rimorchiatori, ne era consapevole; nessuno tuttavia immaginava quanto sarebbe stato maledettamente difficile riportarli in banchina.
“L’approccio all’Audax” – racconta il capitano Vladimiro de Noto – “è stato ancora più pericoloso a causa delle sue acrobazie nel mare in tempesta e dell’approssimarsi dei bassi fondali e della costa. Che fare? I tempi erano strettissimi e le alternative erano: rischiare e agire, o rinunciare”.