Il romanzo di una vita che è anche la biografia di Trieste, attraverso quasi un secolo di eventi e drammi storici del Novecento. Ma sul palcoscenico della memoria rivive soprattutto una larga rete di rapporti familiari, di legami parentali e di amicizia dispiegati nel tempo e nello spazio tra Sarajevo, Trieste, Vienna, Varazdin, Budapest, Parigi, Venezia, in un intreccio forse irripetibile di migrazioni, lingue, culture, religioni in armonica convivenza. Fino alle guerre, alla furia nazista che spezzò brutalmente un intero universo umano e culturale. “Ma io sono un’imbecille e non mi arrendo” diceva Berta Bianca Spitzer (Vienna 1916-Trieste 1997) invocando un mondo nuovo, colto e solidale. E così decise di raccontare la propria storia e quella della grande famiglia.
Un testamento spirituale, ma anche un brillante diario di vita vissuta tra salotti, teatri, università , nozze, feste, amori, fughe, abiti, cibi, profumi, dove si ritrovano antenati e compagni di strada spesso eccezionali. Dalla nonna Rachele Salom, discendente degli ebrei scappati nel Cinquecento dalla Spagna – e a Trieste ricchi commercianti di caffè – al nonno Giulio Morpurgo, fondatore della Scuola di commercio Revoltella dove insegnarono anche gli amici di famiglia Svevo e Joyce, e primo rettore dell’Università di Trieste. Dalla grande famiglia croata del papà Carlo-Carolj Spitzer a Teodoro Mayer, il fondatore del “Piccolo”, allo psicoanalista Umberto Servadio, a Pierpaolo Luzzatto Fegiz, creatore della “Doxa”, a un corteo di persone e personalità meno note, ma che la memoria restituisce nei loro tratti più geniali, toccanti e stravaganti.